venerdì 1 settembre 2017

Il Lato Oscuro della Dea

Molti di noi si sentono fortemente a disagio con il buio, altri hanno una vera e propria fobia dell’oscurità e il solo pensarci li terrorizza ed incute loro veri attacchi di panico.
Resta il fatto che ognuno di noi prova sensazioni spesso spiacevoli, una volta messo a contatto con le tenebre. Insorge fin dalla più tenera età e non è raro che perduri nell’età adulta.
È una sorta di timore ancestrale che la nostra specie si trascina addosso da sempre, basti pensare al fatto che, spesso e volentieri, l’oscurità viene associata a cose negative, malefiche e peccaminose.
Dante Alighieri stesso, all’inizio del suo cammino attraverso l’Inferno, si ritrova in una “Selva Oscura”, che di certo non fa presagire nulla di buono.

Ereshkigal Darkness Goddess Dea OscuraA livello psicologico, più che paura del buio in sè, si ha il timore di non vedere ciò che esso può celare e dei pericoli che vi si possono nascondere. 
Allo stesso modo, si ha timore della propria oscurità, quella parte di personalità che ci viene celata e che nemmeno vogliamo conoscere.

Ma è davvero saggio reprimere totalmente il nostro lato oscuro?
In realtà, affrontare ed accettare la nostra oscurità può farci maturare e aiutarci nel prendere il controllo di noi stessi.

Molti di coloro che lavorano con le energie sottili nel campo dell’occultismo, tendono ad eliminare dalle loro esperienze ed esistenze tutto ciò che riguarda la negatività, le entità non propriamente cristalline e le azioni non volte al bene. 
La magia, però, per essere compresa a fondo, deve essere considerata nelle sue energie positive e negative, bene e male.
Vi sono molte persone che, una volta avvicinatesi al paganesimo, si bloccano e lavorano solamente con il potere dell’amore e della luce, ma essere streghe non è solo cristalli, yoga, cene vegane e fiorellini.
L’oscurità esiste, che ci piaccia o meno, ed ignorarne l’esistenza non farà che ingigantirne le dimensioni.

Ereshkigal Darkness Goddess Dea OscuraOvviamente, non sto dicendo che lavorare con energia positiva sia sbagliato, è anzi è tutto molto lodevole e karmicamente corretto. Quello che intendo dire è che senza aver fatto pace con la nostra oscurità, senza averla affrontata, attraversata con ogni fibra del nostro essere e compresa a fondo, la luce con cui lavoreremo sarà molto debole e la nostra anima non crescerà mai, non maturerà. 
La vera luce, quella che si staglia abbagliante e potente, il lume della verità e della conoscenza si ottiene solamente dopo aver disceso uno ad uno i gradini che portano agli inferi del nostro inconscio. Chi parla di amore e luce, deve aver vissuto il buio sulla propria pelle.
Senza l’Oscurità, la Luce non sarebbe visibile.

In Alchimia, la prima fase per la trasformazione nella Grande Opera è la Nigredo (che significa Nerezza, Oscurità), dove tutti gli ingredienti attraversano uno stato di decomposizione e di putrefazione, affrontano quindi “la morte” per poi trasformarsi ed evolversi in qualcosa sempre più puro, fino ad arrivare alla “pietra filosofale”. Anche in questo caso, quindi, la natura stessa delle cose ci fa capire che non esiste evoluzione senza prima aver avuto a che fare con l’Oscurità.

“Tutto ciò che è respinto dal sé, appare nel mondo come un evento.” – C. G. Jung

La letteratura è piena di leggende, personaggi ed archetipi che affrontano un viaggio dell’anima basandosi su questo tipo di ragionamento, la cosiddetta “Catabasi”: La Dea Ishtar/Inanna, Orfeo, Persefone ecc…

Prendiamo come esempio la Dea Ishtar/Inanna.

Il mito narra la discesa negli inferi di Ishtar, Dea dell’amore e della fecondità, al fine di rendere omaggio a sua sorella Ereshkigal, Dea dell’oltretomba, da poco rimasta vedova.
Ishtar bussa alla porta degli inferi minacciando di far fuoriuscire i Kurnugi, i morti, se non le avessero aperto, i quali avrebbero divorato i vivi, sovvertendo l’ordine del mondo. I guardiani dell’oltretomba la fanno così entrare, la fanno passare attraverso sette porte, togliendole un capo di vestiario, i suoi amuleti di protezione ed i suoi poteri (chiamati “me”) ad ogni passaggio, in modo che si presentasse completamente nuda ed indifesa dinnanzi ad Ereshkigal. Quest’ultima ordina al suo ministro Namtar, divinità del fato, di scagliare contro sua sorella delle malattie che avrebbero colpito il suo corpo in ogni parte, tenendola così prigioniera nell’oltretomba. Il corpo di Ishtar fu percosso ed umiliato e il cadavere fu appeso ad un gancio. Tuttavia, Ishtar, conscia del rischio che correva nell’attraversare il regno dell’Irkalla, mise in guardia la sua fedele ancella Ninshubur, dicendole che se non l’avesse vista tornare entro poco tempo avrebbe dovuto chiedere aiuto.
Ninshubur chiese aiuto agli Dei, le rispose il Dio Enki, il quale creò dalla terra due creature androgine, simili a mosche, chiamate Kurgarra e Galatur, e ordinò loro di discendere negli inferi. Oltrepassarono i sette cancelli senza farsi notare dai servitori dell’oltretomba, una volta giunti in prossimità della Dea, la sentirono singhiozzare poiché era rimasta abbandonata a sé stessa, andarono quindi a consolarla. Ereshkigal quindi decise di dare loro un dono, Kurgarra e Galatur chiesero quindi di avere il cadavere di Ishtar e lo ottennero. Lo cosparsero con il nettare della vita, facendole riaprire gli occhi. A quel punto Ishtar volle andarsene, ma i demoni galla, creature striscianti che vivono nell’oltretomba, la fermarono e le dissero che avrebbe dovuto portare qualcun altro al suo posto. La scortarono fin sulla terra, a Uruk, dove Ishtar trovò suo marito Dumuzi (Tammuz) ricoperto di vesti scintillanti, seduto sul trono che spettava a lei, per nulla preoccupato dalla scomparsa della Dea, la quale, adirata, permise quindi che i demoni galla lo prendessero e lo portassero nell’Irkalla.
La sorella di Dumuzi, Geshtinanna, si disperò nel sapere che il fratello sarebbe stato per sempre nell’oltretomba, allora Ishtar che era molto legata ad entrambi, presa dalla pietà le permise di discendere per scambiarsi col fratello; così facendo Dumuzi, Dio della vegetazione e dei pascoli, per i primi sei mesi dell’anno sarebbe dovuto restare nell’oltretomba con Ereshkigal, per poi scambiarsi con la sorella e ritornare sulla terra. In questa maniera, nei sei mesi in cui Dumuzi si sarebbe assentato dalla terra, la vegetazione si sarebbe intristita e sarebbe arrivato l’inverno, salvo poi recuperare vitalità nel momento in cui lui sarebbe tornato, portando con sé la primavera e la fertilità, regolando così il ciclo stagionale.

In questo caso, Ishtar, al fine di raggiungere equilibrio e completezza, è disposta, in maniera non indolore, ad affrontare il suo lato oscuro; poichè Ereshkigal altri non è che l’immagine specchiata, l’ombra di Ishtar. 
Allo stesso tempo, Ishtar ed Ereshkigal insieme formano, in maniera complementare, un unico archetipo femminile, in cui troviamo un bipolarismo: sopra e sotto, luce ed ombra, le due facce della luna, la dea colma di amore e la belva assetata di sangue.

Ereshkigal Darkness Goddess Dea Oscura


Nel paganesimo, in generale, oltre alla classica figura della Dea madre benevola e dispensatrice di amore, esiste una figura complementare che è la cosiddetta Dea Oscura.
Non sono due figure differenti, ma due aspetti, due sfaccettature diverse dello stesso archetipo divino.

In contrapposizione alla Dea madre, troviamo quindi un aspetto di Madre divorante, un’entità terribile che tutto distrugge e divora, ma che allo stesso tempo spinge la divinità maschile alla trasformazione ed all’evoluzione. 
Parliamo quindi di una Dea che rappresenta la notte, la luna, il buio, la guerra, la malattia e la morte, ed al tempo stesso è fortemente interconnessa con il sole, la vita, la luce, poiché, private della Dea, queste non esisterebbero.
Come nell’essere umano vivono allo stesso tempo luci ed ombre, nella Dea non può esistere un aspetto senza l’altro, sono due archetipi complementari della stessa entità.

Ereshkigal Darkness Goddess Dea Oscura
Ereshkigal/Lilith, British Museum, London

Ereshkigal è l’esempio più eclatante di Dea Oscura; il suo nome stesso significa “Signora del grande luogo infero”.
Nata come dea del grano e dei cereali, figlia di Sin, sorella maggiore di Ishtar e Shamash, si chiamava Ninlil e veniva detta la moglie di Enlil, il dio del cielo. Ninlil fu più volte violentata dal marito sotto vari travestimenti. Sicchè gli dei lo punirono mandandolo nel mondo sotterraneo. Ma per amore del consorte, Ninlil lo seguì negli inferi dove assunse il nome di Ereshkigal e diede alla luce il dio Nannasin, il dio della Luna.
Ereshkigal è pulsione, rabbia primordiale, istintività, la parte ferina dell’animo femminile.
Ella rappresenta l’archetipo femminile del ciclo della natura, che nonostante venga sotterrato, annullato, riesce comunque a germogliare di nuovo e dare nuovi frutti; è la certezza della vita dopo la morte.

Unornya 
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